Se non ci ammazza il virus, lo farà la tristezza

Se non ci ammazza il virus, lo farà la tristezza

Recuperiamo il titolo di un recente articolo del quotidiano spagnolo El Pais che dà finalmente spazio alla solitudine e alla tristezza in cui versano tanti anziani costretti a casa dalla paura del contagio o privati delle più basilari condizioni di socialità dalle misure di prevenzione messe in campo dal governo e dalle autorità locali.

Un’anziana intervistata racconta: “il confinamento obbligatorio ci ha lasciati traumatizzati. Una persona giovane può dire: questo passerà. Ma noi no. Ci stanno rovinando il finale della nostra vita. È così che mi sento, amareggiato. Io andavo a due centri culturali che ora sono chiusi. Ti dicono di restare in contatto via internet, ma non sanno se hai il computer o se puoi permetterti di pagare la tariffa di connessione. Tutto è fatto per i giovani. Loro sono abituati al virtuale, ma noi abbiamo bisogno di toccare, palpare, vedere i professori, i nipoti, il medico… E ormai nemmeno i medici ti ricevono, anche loro sono confinati, per proteggersi, spaventati. Chiami all’ambulatorio e non ti rispondono, e quando lo fanno ti danno appuntamento per una consulta telefonica vari mesi dopo, anche se gli dici che sei depresso e pensi cose orribili. Finora mi sono sentita giovane, ora non più. Se non ci ammazza il virus, lo farà la tristezza.”

Ci sono pochi dubbi che siano milioni anche in Italia gli anziani con gli stessi sentimenti.

La chiusura dei centri culturali e dei circoli ricreativi sta aggravando la situazione di isolamento sociale e la solitudine degli anziani. La riduzione delle relazioni sociali e dei contatti con i familiari peggiora le condizioni di salute di una categoria di persone già tendenzialmente più fragile per questioni d’età. La paura di essere infettati provoca angoscia, stress e disturbi del sonno che si sommano al disagio psicologico in essere.

In molti anziani aumentano gli stati d’ansia e di depressione dovuti alla riduzione delle relazioni sociali, insieme con il senso del tempo che scorre velocemente senza prospettive di uscita a breve dalla crisi pandemica.

La figlia di una donna anziana, invece, spiega: “Mia mamma ha molta paura a rimanere ferma in casa. Sa che a quell’età è molto difficile recuperare la mobilità che si perde… durante il lockdown, quelli che hanno avuto accesso alla tecnologia hanno potuto continuare a vedersi. La generazione di mia madre, solo per telefono.”

anziani isolati coronavirus accesso tecnologia

Qui emergono altri due aspetti sensibili:

  • la relazione tra benessere ed esercizio fisico;
  • l’accessibilità agli strumenti tecnologici che servono per comunicare a distanza.

Quanti milioni di anziani, anche in Italia, stanno soffrendo per almeno una di queste due situazioni?

Molti anziani lottano anche contro il deterioramento cognitivo e la regressione delle facoltà mentali aggravati dall’isolamento sociale. Chi già prima aveva difficoltà a parlare, ora avrà ancora più difficoltà, chi sentiva poco, sentirà ancora meno, chi stava perdendo la memoria, avrà aggravato la sua condizione.

In tale contesto di privazione, per anziani soli e demoralizzati, con prospettive a dir poco incerte, trascurarsi e scegliere di lasciarsi andare diventa un’opzione comune.

Nell’articolo de El Pais, si legge un altro intervistato che dice: “sono molto preoccupato perchè mi sembra che invertire la situazione sarà molto complicato. Non torneranno facilmente alla vita precedente. Ci vorranno due o tre anni e, a quella età, è molto tempo.”

Questo è un aspetto che sfugge alla maggior parte delle persone: l’orizzonte temporale di vita che attende gli anziani, soprattutto quelli molto vecchi, è assai limitato, di conseguenza, l’ipotesi di trascorrere l’ultimo periodo di vita con grandi privazioni affettive e sociali provoca un’angustia e un senso di tristezza difficilmente immaginabile.

Agli anziani oggi viene richiesto di resistere, ma la domanda per moltissimi rimane: RESISTERE PER CHI o PER COSA?

L’isolamento sociale degli anziani

Nelle società del passato gli anziani erano i saggi, le persone che sapevano di più, che in molti anni di vita avevano accumulato esperienze e conoscenze da trasmettere ai più giovani per aiutarli a orientarsi nella vita, ad anticipare i problemi ed evitare rischi inutili.

Erano società tradizionali, stabili da un punto di vista organizzativo, culturale e tecnologico. Con il tempo, l’organizzazione sociale e l’intera impalcatura valoriale della società si sono liquefatti (per usare una figura del sociologo Bauman), mentre i rapporti intergenerazionali si sono capovolti.

Nella società contemporanea, molto spesso, sono i giovani a sapere di più, ad aver studiato di più, a maneggiare meglio i manufatti tecnici, i giovani sono “adeguati” al mondo, in sincronia con i suoi ritmi, laddove gli anziani, spiazzati dalla rapidità dei cambiamenti tecnologici, non stanno al passo e rischiano grossi cedimenti adattivi.

In un panorama del genere è difficile che vi sia dialogo fra vecchi e giovani, gli strumenti, i linguaggi, le esperienze sono troppo diverse, entra in crisi persino la comunicazione fra genitori e figli, dieci anni di differenza diventano un abisso fra i nativi digitali e il resto dell’umanità.

Nuclei familiari sempre più piccoli e disseminati nello spazio, distanze fisiche che aumentano e separano le famiglie, impegni di lavoro, vita frenetica, universi psicologici alla deriva.

isolamento sociale degli anziani in Italia, dati allarmanti. Nella foto anziano signore triste con bastone

Già prima dell’epidemia di Covid-19, in Italia un anziano su 5 viveva in una condizione di isolamento sociale, senza contatti con altre persone, neppure telefonici, nell’arco della settimana.

L’1 ottobre 2020, in occasione della 30/ma Giornata Internazionale delle persone anziane, sono stati presentati i dati (raccolti nel periodo 2016-2019) della ricerca Passi d’Argento, coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

Secondo questa, quasi 3 anziani su 4 non frequentano punti di aggregazione come i centri per anziani, i circoli, le parrocchie, le sedi di partito o le associazioni. Il 35% dichiara di avere difficoltà nell’accesso ai servizi sociosanitari (quelli delle ASL in particolare) e ai negozi di prima necessità.

Se molti anziani che vivono in casa da soli sono in sofferenza, non va meglio agli anziani ospiti nelle RSA e nelle case di cura sparse sull’intero territorio nazionale. La strage di anziani verificatasi in queste strutture durante i primi mesi di pandemia ancora interpella le coscienze di tutti chiamandoci a una risposta.

Mancano dati credibili sui decessi nelle RSA a livello nazionale ma, nel caso di Milano, il rapporto compilato dalla ATS (Agenzia di Tutela della Salute) afferma che circa la metà dell’eccesso di mortalità per Covid19 si è verificato nelle RSA, vale a dire che il 50% di morti per Covid19 è avvenuto nelle residenze per anziani.

Giovanni Merlo, direttore di Ledha-Lega per i diritti delle persone con disabilità, così si esprimeva sull’argomento: “Siamo preoccupati dalle tristi storie delle stragi di anziani in istituto. Sta prendendo piede l’idea che sia possibile sacrificare le loro vite in favore di altre.”

A fronte di gravi carenze di posti letto, unità di terapia intensiva e personale medico-sanitario, è sembrato ragionevole dare priorità ai giovani negli ospedali, mentre nelle strutture per anziani si stava producendo un’ecatombe che ha incontrato l’interesse delle autorità e della società con grave e scandaloso ritardo.

Questo atteggiamento rende manifesto un inconscio collettivo: l’idea che gli anziani valgano meno, che la società possa fare a meno di loro e che in alcuni casi siano solo un peso. Se gli anziani sono percepiti come “scarti” non più produttivi, non più utili alla collettività, allora si spiega anche perchè, ora, le ragioni igienistiche che portano a isolarli all’interno delle RSA prevalgano sul loro bisogno di essere confortati, di sentire la vicinanza fisica ed emotiva dei loro cari.

Le logiche di protezione della salute fisica degli anziani, e di quella pubblica generale, stanno obliterando i bisogni affettivi e la salute psichica delle persone, senza considerare che il benessere psicologico ha forti ricadute anche su quello fisico.

concentrandosi solo sulla salute fisica si stanno sottovalutando i bisogni affettivi e psicologici delle persone anziane. Nella foto un figlio visita la madre anziana e la saluta attraverso il vetro che li separa

L’esigenza di limitare i contagi si sta imponendo su tutto, e non si stanno valutando adeguatamente gli effetti collaterali delle misure anti-Covid sulle persone più vulnerabili e più dipendenti dagli altri.

Nel caso dei malatti terminali questa impostazione di pensiero si traduce in una scelta crudele e immorale, sorprendentemente elusa nel dibattito pubblico. Impedendo le visite dei familiari, i malati terminali vengono lasciati soli ad affrontare una morte annunciata, producendo una sofferenza indicibile che investe i familiari stessi e gli operatori sanitari costretti ad assistere impotenti allo strazio.

“Per farli vivere, li abbiamo seppelliti vivi in una stanza”, dice efficacemente, ancora una volta, Giovanni Merlo.

Passata la prima emergenza, che ci ha colti di sorpresa e impreparati, adesso bisogna fare appello al nostro senso di umanità, riorganizzare le priorità, trovare un equilibrio più giusto fra istanze economiche, sociali e psicologiche, predisponendo dei protocolli sanitari che tengano conto delle esigenze degli anziani e di tutte le persone non autosufficienti che vivono nelle strutture residenziali o nelle proprie case.

Recentemente è giunta notizia che a Padova si stiano definendo nuove regole per consentire le visite dei familiari ai loro cari in fin di vita.

Deve diventare una prassi comune, non è accettabile lasciar morire sole le persone, a qualunque età. È questa la nuova normalità a cui ci stiamo assuefacendo? Il grado di civiltà di una società si misura da come vengono trattati i più deboli, vecchi e disabili in primis.

Con il decreto Rilancio di Maggio, il governo ha dimostrato un’inedito impegno per la sanità pubblica aumentando i fondi per l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) di 734 milioni di euro per il 2020, una cifra considerevole se consideriamo che la spesa annua è di 1,5 miliardi.

I soldi sono fondamentali, ma non sono sufficienti. Bisogna sfruttare l’eccezionalità della situazione per fare considerazioni ad ampio spettro e progettare nuovi servizi, rinforzando i presidi sanitari diffusi sul territorio e l’efficacia dell’assistenza domiciliare, prima ancora che la qualità delle strutture di accoglienza.

migliorare servizi assistenza domiciliare anziani

Potenziare i servizi di assistenza agli anziani a domicilio significa favorire la loro autostima e il loro benessere psicologico, prolungando il tempo di vita trascorso in autonomia, seppur limitata in molti casi.

All’interno delle strutture per anziani, invece, bisognerebbe porsi come obiettivo quello di ricreare condizioni di agio domestico e, allo stesso tempo, moltiplicare le relazioni sociali e le attività dentro e fuori dalle strutture, in accordo alle esigenze degli ospiti.

Realizzare migliori condizioni di vita per gli anziani è un obiettivo che ci riguarda tutti e che merita un serio dibattito. Assistenza Famiglia da molti anni combatte in prima linea questa battaglia e, con questo articolo, si augura di aver dato un ulteriore contributo alla causa.

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